Lo spazio della detenzione

Il 26 settembre si è tenuto il seminario sull’architettura penitenziaria: è stato l’occasione per riflettere sul tema dello “spazio della detenzione” come educatore e sulla bellezza come strumento di rispetto verso la felicità, ponendo l’accento sull’aspetto dell’umanizzazione di questi luoghi.

Il 26 settembre la Fondazione per l’architettura / Torino, in collaborazione con la Camera Penale del Piemonte Occidentale e Valle D’Aosta “Vittorio Chiusano”, ha tenuto un evento formativo sull’architettura penitenziaria e sulla vicenda edificatoria nazionale, alla luce del dettato Costituzionale e dei prossimi programmi edificatori di edilizia penitenziaria.

La curatela scientifica dell’incontro è stata affidata a Cesare Burdese, architetto esperto di architettura penitenziaria. Hanno partecipato Michela Lageard (Consigliera della Fondazione per l’architettura), Margherita Bongiovanni (Presidente A.I.D.I.A.), Claudio Sarzotti (Progetto Alice, Università di Torino – Dip. Giurisprudenza), Roberto Capra (Presidente della Camera Penale “Vittorio Chiusano”), Emilia Rossi (già componente del Collegio del Garante Nazionale per le persone private della libertà personale), Marco Chiodi (architetto).

Il seminario è stato l’occasione per riflettere sul tema dello “spazio della detenzione” come educatore e sulla bellezza come strumento di rispetto verso la felicità, ponendo l’accento sull’aspetto dell’umanizzazione di quei luoghi destinati ad accogliere persone, seppur private della libertà.  Può sembrare provocatorio parlare di felicità rispetto a luoghi dove si vivono condizioni emergenziali; eppure, si tratta una condizione necessaria per crescere individualmente e collettivamente.

Per poter comprendere le criticità legate al mondo detentivo è importante analizzare il passato. Le mancanze sono spesso legate a bisogni primari: lo spazio carcerario è infatti da indagare dal punto di vista di diritti, etica e sicurezza. Occorre un’analisi realistica della vita nelle carceri e dei bisogni delle persone detenute: saperi e competenze diverse devono dialogare per produrre strategie efficaci che rendano la pena costituzionale dignitosa, in modo da facilitare il reinserimento nella società.

L’edilizia penitenziaria sbagliata lede il diritto alla riabilitazione dell’individuo perché non ci sono spazi per il trattamento individualizzato, articolato intorno ai bisogni delle persone. Nelle nostre strutture spesso non ci sono spazi atti alla risocializzazione, né per la formazione culturale, professionale o lavorativa, o per l’attività fisica e l’affettività.

Voltaire diceva “Non dirmi degli archi, parlami delle tue galere”. La civiltà di un paese si evidenzia proprio dallo stato delle sue carceri, attraverso la loro costruzione passa un’idea che corrisponde a determinati diritti. Al momento, le strutture possono solo contenere, quindi il diritto del detenuto viene violato. Per tutti questi motivi esiste un legame intimo tra architettura e diritti.

Secondo Cesare Burdese “Il nostro carcere, come sistema per eseguire la pena edittale e come edificio dove eseguirla, rappresenta il fallimento di quanto i nostri Padri costituenti, vergando il comma 3 dell’art. 27 della costituzione, volevano raggiungere: una pena umana ed utile. Questo seminario è stato voluto per fornire consapevolezza sul carcere a quanti si occupano di architettura ed ancora non la posseggono. L’obiettivo remoto è quello di contribuire a formare un fronte culturale architettonico utile a contrastare l’insipienza generalizzata che caratterizza da troppo tempo la vicenda del nostro carcere progettato e costruito”.

Ascolta l’incontro su Radio Radicale.