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L’uscita del nuovo libro di Giorgio Scianca tra cinema e architettura è l’occasione per rileggere dieci anni di sospensione dalla crescita, un tempo nuovo, personale, dilatato, con accelerazioni violente e pause forzate di reclusione alla luce magica del cinema.
600 film e un videogioco
L’uscita del nuovo libro di Giorgio Scianca, che mette insieme cinema e architettura (600 film, provenienti da tutto il mondo con un architetto protagonista, dal 2010 a oggi) è l’occasione per rileggere dieci anni di sospensione dalla crescita, un tempo nuovo, personale, dilatato, con accelerazioni violente e pause forzate di reclusione alla luce magica del cinema.
Le future generazioni ricorderanno probabilmente questi anni come «il periodo tra le due pandemie»: quella finanziaria, che ha visto i suoi effetti dal 2010 e quella sanitaria del 2020. Dieci anni passati a fuggire dalla crisi, dalla povertà, dalle guerre, ma anche da un modello di sviluppo non più sostenibile, da città e metropoli in perenne incontrollata crescita, da abitazioni e costruzioni anacronistiche ed eccessive. Il tema dominante è la fuga creativa, che ben rappresenta il sentimento comune dello scorso decennio. Non conta più il gesto dell’artista ma il recupero dell’acqua piovana. Quindi fuga dalle città, dalle architetture di regime, dall’esaltazione delle ricchezze accumulate e, più intimamente, dalla «famiglia», dalle istituzioni millenarie, dalla vecchiaia, dalla malattia. I film proposti raccontano questo sentimento in ogni angolo del pianeta, mostrando la risposta creativa che l’architetto ha escogitato per affermare la propria esistenza, la propria sensibilità. Dove sta andando, cosa sta facendo, come sarà l’architetto duepuntozero?