Chiamate favelas, barrios, bidonville o slum, oggi le città invisibili ospitano quasi un miliardo di persone; Francesca De Filippi ci propone una panoramica su un fenomeno globale non troppo distante da noi, all’interno dell’inchiesta de Il Giornale dell’Architettura.
Barrios, favelas, bidonville, slum… cambia nome a seconda della latitudine, ma il fenomeno resta lo stesso; parliamo delle città informali, una specifica condizione abitativa in aree urbane in cui vivono quasi un miliardo di persone.
Con un articolo all’interno dell’inchiesta La città informale a cura de Il Giornale dell’Architettura, l’architetto e membro del Comitato di indirizzo della Fondazione Francesca De Filippi traccia definizione e dimensione del fenomeno sulla scia di Not so far, l’evento promosso lo scorso aprile nella cornice di Biennale Democrazia 2019.
Quegli slum dietro casa nostra
Una condizione sempre più globale, da cui l’Europa non è immune. Il problema delle evacuazioni per legge, senza un’alternativa di trasferimento
Oggi oltre la metà della popolazione mondiale vive in aree urbane, una percentuale che dovrebbe raggiungere il 68% entro il 2050 secondo dati delle Nazioni Unite. Di questi, circa un miliardo abita in slums – o barrios, favelas, bidonville -, comunque in città informali. La maggior concentrazione di slums si registra in Africa subsahariana, condizione abitativa che coinvolge circa il 56% della popolazione urbana. Non è qui tuttavia che si registra l’insediamento più popoloso al mondo: per riportare solo alcuni esempi, a Neza-Chalco-Itza, in Messico, vivono 4 milioni di persone; a Kibera, in Kenya, 2,5 milioni; a Khayelitsha, in Sud Africa, 1,2 milioni; a Dharavi, in India, 1 milione; a Cité Soleil, ad Haiti, 241.000; a Makoko, in Nigeria, 110.000; a Rocinha, in Brasile, 69.000.
Che cosa è uno slum
UNHABITAT definisce slum una condizione di vita in area urbana in cui non vi sia la disponibilità di un’abitazione durevole di natura permanente che protegga da condizioni climatiche estreme; di uno spazio abitativo adeguato, dove non più di tre persone condividano la stessa stanza; di acqua pulita in quantità sufficiente e a costi accessibili; di servizi igienici, siano essi pubblici o privati, in numero congruo al numero di utenti; infine, dove non sia assicurato il diritto di proprietà, a protezione di sfratti forzati.
Diffusione e crescita degli slums sono strettamente legate alla combinazione di due fenomeni a scala globale: il boom demografico e l’urbanizzazione, che vedono la migrazione in massa di persone dalle aree rurali verso la città in cerca di lavoro e opportunità, con conseguente domanda di case e servizi di portata di gran lunga superiore alla risposta che le città sono in grado di offrire. Un’enorme sfida, in termini di pianificazione e progetto a tutti i livelli di governo del territorio, se si pensa che le proiezioni prevedano una crescita della popolazione di altri 2,5 miliardi di unità entro il 2050, di cui il 90% in Asia e Africa.
Un fenomeno ormai globale
Tradizionalmente, il termine slum è riferito a luoghi e immaginari del Sud del mondo; solo più recentemente viene associato a situazioni diffuse di povertà nelle città in Paesi cosiddetti “sviluppati”. Eppure l’Europa non è esente da condizioni di disagio abitativo: solo la Germania conta fra 335.000 e 420.000 persone senza tetto, che diventano 860.000 se s’includono i rifugiati, la Francia 141.000 e l’Italia oltre 50.000.
Esiste una vulnerabilità cronica legata alla povertà urbana che va oltre la divisione Nord/Sud, la cui natura chiede la capacità di decostruire il fenomeno, l’adozione di un approccio relazionale piuttosto che assoluto, il coraggio – come scrive Jane Jacobs – di considerare geografie urbane radicalmente diverse e persino incompatibili: studiare i fenomeni, le tipologie urbane del Sud del mondo per alimentare la comprensione di ciò che avviene altrove. Anche gli insediamenti informali sono dunque da considerarsi un fenomeno “globale” e sebbene la distribuzione non sia uniforme, la loro comprensione richiede una griglia di lettura appropriata, di necessaria ampiezza.
La situazione in Europa
Per citare un esempio – non unico – in Europa, nell’ottobre 2017 il quotidiano «Le Monde» pubblicava un articolo dal titolo Ces 570 bidonvilles que la France ne veut pas voir, ponendo l’attenzione sul problema degli insediamenti informali in Francia (113 nella sola regione di Parigi) dove migliaia di abitanti vivono in condizione marginale e precaria. A Marsiglia, Architectes sans frontières France è impegnata in progetti di accompagnamento, riqualificazione e stabilizzazione di bidonville dove vive circa un migliaio di abitanti. Nonostante l’evacuazione delle aree informali debba essere per legge programmata e accompagnata, gli sfratti talvolta avvengono senza una diagnosi sociale preventiva o la proposta agli interessati di un’alternativa di trasferimento. Quando non accompagnato da soluzioni adeguate, questo tipo di provvedimento porta inevitabilmente alla costituzione, nelle vicinanze, di nuovi insediamenti marginali, in cui poter mantenere vive le reti sociali a supporto di servizi informali di mutuo aiuto. Ripetuti provvedimenti di espulsione portano gli abitanti a stabilirsi in gruppi più piccoli e in luoghi sempre più remoti, generando una pericolosa tendenza all’invisibilità.
Il focus della Biennale Democrazia
La Fondazione per l’architettura / Torino, in occasione della sesta edizione di Biennale Democrazia “Visibile/Invisibile”, ha voluto raccontare – con Not so far, una maratona di talk, video, progetti, interviste – le diverse facce di questi luoghi, nel nostro immaginario spesso fatti di povertà e degrado, ma in cui spesso nascono e crescono progetti creativi, iniziative imprenditoriali, occasioni di collaborazione. La maratona ha ospitato sedici interventi e il racconto di altrettanti casi, da Nairobi, Buenos Aires, Cape Town e Pechino a Berlino, Marsiglia e New York. Negli spazi di FFLAG a Torino sono state esposte anche quattro installazioni: la proiezione del film Lepanto – Ultimo cangaceiro di Enrico Masi, la videoinstallazione Street Vendors: Medellín, Tirana, Johannesburg e Yogyakarta di Su Tomesen, il progetto fotografico Watertanks di Filippo Romano a Nairobi [immagine di copertina] e il progetto As a fallen apartment building di Francesca Cirilli, un racconto per immagini dei wagenburg sorti sui resti del Muro di Berlino.
Francesca De Filippi
architetto, docente del Politecnico di Torino e membro del Comitato di indirizzo della Fondazione per l’architettura / Torino
__