Tanti architetti, pochi incarichi. La professione dell’architetto è un mosaico di ambiti eterogenei e complementari tra loro e oggi serve lavorare su posizionamento, sostegno, connessione e domanda. Il presidente Alessandro Cimenti racconta l’impegno della Fondazione.
A quanto pare, dopo quasi un centinaio di anni di continua crescita, il numero degli architetti si sta riducendo. Rimaniamo comunque tantissimi e i lavori pochi. Anche per questo motivo sono aumentati in misura rilevante gli ambiti di interesse con i quali la nostra professione si confronta.
In sostanza si osserva un adattamento della professione sul breve periodo per far fronte alle evidenti difficoltà contingenti che porta a tralasciare una progettualità a medio lungo termine.
Se da un lato queste dinamiche determinano esplorazioni professionali innovative e intraprendenti, d’altro canto non sono numericamente rilevanti le iniziative volte a competere sul mercato nazionale / europeo / globale.
Occorre quindi spostare lo sguardo verso un orizzonte temporale più lontano attivando quei processi di conoscenza e connessione capaci di supportare l’evoluzione del nostro mestiere in relazione alle esigenze della comunità. Un impegno che intendiamo assumerci e che possiamo sintetizzare in quattro parole chiave:
- Posizionamento: analisi e monitoraggio della “galassia degli architetti” quale strumento per conoscerci e conoscere il mercato.
- Sostegno: formazione innovativa e di qualità per implementare le competenze specifiche dei professionisti e per affrontare temi di carattere generale, spaziando tra corsi specialistici, a distanza e modalità sperimentali.
- Connessione: networking e comunicazione per mettere in contatto i professionisti e le realtà attive potenzialmente interessate all’operato degli architetti, quali aziende private, amministrazioni pubbliche, associazioni, enti culturali, …
- Domanda: promozione dell’architettura per sensibilizzare i cittadini, quali primi committenti, sul ruolo e sul lavoro degli architetti.
Si dice che la crisi (economica) sia alle spalle e gli indicatori confortano; occorre, nel prossimo futuro, impegnarsi ed investire al fine di recuperare quel livello di autorevolezza che ha sempre reso l’architetto l’unico professionista in grado di processare informazioni, dati, visioni in un unicum progettuale coerente e portatore di significati per il bene comune.
Di questa capacità oggi c’è estremo bisogno anche se pochi ne paiono consapevoli.
Alessandro Cimenti
Fondazione per l’architettura / Torino