Falchera è un quartiere a tre anime: Borgo Vecchio, Falchera Vecchia e Falchera Nuova. Il 9 giugno indagheremo con una lezione e una visita formativa i principi ispiratori che hanno dato alla luce un intero quartiere in risposta all’emergenza abitativa del dopoguerra.
Alla fine degli anni ‘70, Torino stava vivendo un’emergenza abitativa senza eguali: la città aveva 1.200.000 abitanti, un terzo in più rispetto a ora, e molte meno case. Venne varato un piano per contenere il problema, con la realizzazione di un nuovo quartiere a Nord, verso Settimo, vicino a quello della Falchera, costruito negli anni ‘50. La crisi è tale che nell’inverno tra il ’74 e il ’75 gli appartamenti vengono tutti occupati o assegnati, senza che fossero del tutto pronti. Quando arrivano, i nuovi abitanti non trovano i numeri civici. Le strade non sono strade, ma distese di terra battuta o, se piove, di fango. Non c’è la corrente: i palazzi hanno dieci piani, ma gli ascensori non vanno. Intorno, ci sono le gru, i camion, il cantiere del raccordo autostradale. Vi chiedo di immaginare queste cose, anche se non le vedete. (A. Falcone)
Con queste parole Andrea Falcone inizia la descrizione del quartiere Falchera, un pezzo di storia della progettazione torinese. Un lungo racconto che potrete ripercorre sabato 9 giugno 2018 con il corso Il quartiere Falchera Vecchia (8 CFP), 8 ore tra lezione e visita durante le quali gli architetti Roberto Fraternali e Mauro Sudano vi illustreranno il modello insediativo di unità di vicinato che ha portato alla realizzazione del quartiere.
Nei suoi 992.497 mq, Falchera custodisce tre esempi di sviluppo urbano estremamente eterogenei tra loro: il Borgo Vecchio, Falchera Vecchia (l’attrice protagonista del nostro corso) e Falchera Nuova.
Il nucleo più antico è il Borgo Vecchio, nato dalla fitta agglomerazione di cascine che nell’Ottocento aggrovigliava la zona (ai tempi destinata all’agricoltura e allevamento) tra cui Cascina Falchera costruita ai primi del Settecento dalla famiglia Falchero e da cui il quartiere ha preso a prestito il nome. La borgata si prestò a punto di transito per scambi commerciali tra Torino e il basso Canavese fino a quando, dal ’45, i flussi migratori del dopoguerra portarono a un’impennata demografica. Una crescita che ogni anno contava anche fino a 25.000 nuovi abitanti, rendendo così la domanda di alloggi popolari sempre più ingestibile.
La risposta a questa prima emergenza arrivò dal programma di INA Casa con un piano urbanistico firmato da Giovanni Astengo per una nuova unità satellite autosufficiente dal centro torinese e, almeno nelle intenzioni, nuovo avamposto per uno sviluppo verso nord della città; nacque così quella che oggi conosciamo come Falchera Vecchia, con i suoi 1.500 alloggi pensati per 6.000 abitanti. I blocchi residenziali disposti su corti aperte furono realizzati nel rispetto delle tradizioni tipiche delle cascine locali e, allo stesso tempo, ispirandosi a esperienze abitative del Nord Europa. Nonostante fossero stati anche inclusi nel quartiere negozi, bar, uffici, scuole, chiese e un cinema, come tutti sappiamo i risultati non furono all’altezza delle aspettative e l’agognata autonomia lasciò presto il posto all’emarginazione.
Negli anni ’70 in seguito a nuove allarmanti esigenze demografiche si diede vita a “Falchera 2”, o meglio Falchera Nuova: l’insediamento a torri a nord del nucleo storico sul margine dell’odierna tangenziale. Oggi, con il piano di riqualificazione ambientale pensato per realizzare una nuova porzione di parco, la bonifica dei laghetti e la regolamentazione di orti urbani, siamo ancora molto lontani dalla parola “fine”.
Gli aspetti architettonici, urbanistici e paesaggistici di questa porzione di Torino saranno debitamente approfonditi durante il corso Il quartiere Falchera Vecchia; le iscrizioni chiudono il 29 maggio!
Nell’attesa, vi riproponiamo il racconto di Andrea Falcone vincitore dell’iniziativa Architetture da favola della Fondazione che ha condensato in poco più di 10 minuti mezzo secolo di tradizioni, volti e sogni del quartiere.