Il 26 ottobre, al Circolo del Design, la Fondazione, con MinD Mad in Design, DEAR Design Onlus e la partecipazione di professionisti dell’architettura e dello storytelling, ha riflettuto su come la narrazione degli spazi sia coinvolta nel progetto di umanizzazione dei luoghi di cura.
Il 26 ottobre, al Circolo del Design, la Fondazione per l’architettura / Torino, con MinD Mad in Design, DEAR Design Onlus e la partecipazione di professionisti dell’architettura e dello storytelling, ha riflettuto su come la narrazione degli spazi sia coinvolta nel progetto di umanizzazione dei luoghi di cura.
Eleonora Gerbotto, direttore della Fondazione per l’architettura / Torino, ha introdotto la conversazione affidandosi ad un atto narrativo importante, per raccontare la cura e l’attenzione per i progetti che la Fondazione segue da anni:
“L’obiettivo di oggi è capire qual è il ruolo della narrazione nella sfida, che vede complici gli architetti e il mondo sanitario, per l’umanizzazione dei luoghi di cura. L’umanizzazione delle cure è l’attenzione alla persona nella sua totalità, fatta di bisogni organici, psicologici e relazionali; l’architettura “umanizzata” deve quindi essere in grado di garantire il benessere fisico, mentale e sociale del paziente, della sua famiglia e del personale ospedaliero. L’umanizzazione tende alla realizzazione della qualità della vita di un luogo e l’architettura, troppo spesso sottovalutata o ridotta a schemi funzionali, è oggi attore importante del processo di promozione della salute”.
L’umanizzazione dei luoghi di cura ha messo al centro la persona, la progettazione degli spazi però non ha seguito la stessa direzione. Gli spazi ospedalieri non sono pensati per il paziente e causano uno stress inutile al fruitore. Un progetto di qualità oltre a ridurre lo stress indotto, interviene nel miglioramento del processo di cura.
“Abbiamo lavorato e lavoreremo al progetto ARIA, a Spazi Neonati e a Cultura di Base per capire l’impatto dello spazio sul benessere del fruitore.” – conclude il direttore Eleonora Gerbotto – “Oggi crediamo che la narrazione del progetto sia un elemento decisivo per l’umanizzazione dei luoghi di cura”.
A moderare l’incontro, Giulia Filippone, laureata in Comunicazione e diplomata alla Scuola Holden – Storytelling & Performing Arts di Torino, che ha dato il via al dibattito riflettendo sul valore della progettazione partecipata:
“È bello quando professionisti di settori differenti colgono la necessità di attingere al mondo della narrazione. La co-progettazione per l’umanizzazione dei luoghi di cura è fondamentale: il luogo deve raccontare una storia univoca e coerente. Per questo bisogna farlo tutti insieme”.
Ma cos’è la narrazione? Hanno risposto gli ospiti invitati alla tavola rotonda.
Filippo Losito, filosofo, filologo, scrittore, maestro e coordinatore Scuola Holden Torino, ha spiegato che, in ogni storia che si rispetti, l’eroe transita dal mondo ordinario a quello straordinario. Così i pazienti transitano dall’ordinarietà delle loro vite verso uno spazio nuovo: l’ospedale. Ogni persona porta con sé la propria storia e umanizzare gli spazi di cura dovrebbe permettere che la narrazione di se stessi non resti fuori dalla porta d’ingresso.
“Perché la cura sia efficace è determinate la speranza: narrare i luoghi di cura significa destinare una spazio alla speranza, questo è un atto narrativo fondamentale”.
Cristian Campagnaro, architetto e professore associato in Design, DAD Politecnico di Torino, con uno sguardo attento all’individuo, ha innestato una riflessione sul valore della narrazione per l’umanizzazione dei servizi di cura:
“La narrazione è parte dell’attività progettuale; parallelamente all’attenzione per i requisiti funzionali degli spazi, dobbiamo raccontare l’idea migliore che i servizi hanno delle persone accolte e suggerire molteplici possibilità di significato con cui ogni individuo possa ricomporre, al meglio, la propria personale esperienza di accoglienza”.
La Dottoressa Viviana Contu, oncologa di Humanitas Gradenigo di Torino e responsabile dell’ambulatorio di Medicina d’insieme dell’ospedale, ascolta le storie dei suoi pazienti ogni giorno e ha confermato che gli ospedali sono immaginati ancora in ottica funzionale:
“La narrazione non esiste senza il rapporto umano. Fare l’oncologo vuol dire catapultare i pazienti in un buco nero non arredabile. La narrazione è fondamentale perché è uno strumento per i pazienti e per i medici per arredare quel buco nero, per colorare quello spazio“.
Giovanni Corbellini, architetto, critico e docente di Composizione architettonica e urbana, DAD Politecnico di Torino, ha sottolineato come l’architetto sia protagonista del processo di umanizzazione dei luoghi di cura e la narrazione sia un suo importante strumento:
“Quando un’opera raggiunge il suo massimo d’intensità,’ scriveva Le Corbusier, ‘si produce un fenomeno di spazio indicibile’. Tuttavia, per dirci questo, ha pubblicato più di settanta libri: anche i migliori architetti hanno la necessità di raccontare lo spazio per comprenderlo”.
La narrazione dei luoghi di cura è dunque un processo sul quale riflettere, da integrare alla fase progettuale. La progettazione di un luogo di cura richiede piena collaborazione tra i committenti e le diverse figure che vivono quegli spazi: solo attraverso un progetto partecipato è possibile pensare la struttura ospedaliera come un luogo umano.
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