È la frase graffitata sul terrazzo del reparto psichiatrico dell’Ospedale Santa Croce di Moncalieri che presta il nome al concept per l’umanizzazione degli spazi collettivi del reparto. Oggi ti raccontiamo in cosa consiste la proposta nata dal progetto ARIA, partendo da tre parole: verde, movimento e storia.
“Prima o poi sarai mia”. Recita così la frasetta graffitata sul terrazzo del reparto psichiatrico dell’Ospedale Santa Croce di Moncalieri che, nonostante sembri voler passare inosservata, è stata notata, fotografata, e presa a prestito come nome del concept vincitore di ARIA: Architettura e Riabilitazione.
Firmato dai tre architetti Elena Carmagnani, Marta Carraro e Pietro Bartolomeo D’Albertis insieme a un operatore sanitario e a un rappresentante dell’utenza, il concept “Prima o poi sarai mia” è stato selezionato tra altri cinque concorrenti come migliore proposta per l’umanizzazione degli spazi collettivi del reparto. Rappresenta quindi il frutto del percorso ARIA, fortemente voluto da MinD Mad in Design, Fondazione per l’architettura / Torino e Asl To5 in collaborazione con il Circolo del Design e con il contributo di Camera di Commercio di Torino per sperimentare una modalità di progettazione multidisciplinare, partecipata e inclusiva, con l’obiettivo di riqualificare il refettorio, l’area attività e il terrazzo del reparto.
Come spiegano gli autori di “Prima o poi sarai mia”, i luoghi al centro del progetto di umanizzazione consistono in due stanze quadrate con pochi arredi (il refettorio e l’aria attività), corridoi con alte finestre e un grande terrazzo chiuso da una gabbia. Ed è dallo studio di questi ambienti che nasce il concept, nel quale possiamo riconoscere tre elementi portanti: il verde, il cambiamento e la storia.
Il Verde
“Il nostro progetto prende forma attraverso le immagini che scaturiscono nella co-progettazione. Una, in particolare, emerge con forza: è l’immagine della voliera” spiegano gli architetti “parola che usiamo per nominare la gabbia del terrazzo, che vogliamo aprire per far entrare il paesaggio”. Nel concept, la voliera diventa una green-house, una serra con piante che curano e che sono curate: “la cura delle piante, la raccolta delle erbe aromatiche e dei fiori eduli da essiccare o utilizzare in cucina, l’osservazione degli insetti e dei cicli della natura, la cura anche di piccoli volatili che possono nidificare nel giardino, diventano elementi che connotano un nuovo uso dello spazio, funzionale ai percorsi di riabilitazione degli utenti”.
Il Movimento
Un ruolo chiave è assunto anche dagli arredi e dalla modularità degli ambienti, pensati affinché il fruitore possa adattare gli elementi che lo circondano per trovare risposta alle sue necessità: “gli arredi vogliono dare agli utenti la possibilità di scegliere e agire sullo spazio, rimodellandolo e appropriandosene. La seduta esterna ha angoli appartati immersi nel verde e zone di socialità, il divano nel soggiorno è composto da moduli diversi che si ricompongono, i tavoli nella sala da pranzo consentono varie disposizioni per ospitare altre funzioni, oltre a quella del consumo dei pasti”.
La Storia
“Dal punto di vista formale ed estetico, l’immaginario che permea il progetto è quello dell’architettura dei giardini e dei padiglioni di inizio ‘900, ispirata dalla storia delle Ville Roddolo”, ossia le 12 ville originarie fatte realizzare a Moncalieri nel bel mezzo di un grande parco dallo psichiatra Tommaso Roddolo, su cui oggi sorge l’attuale reparto. Come spiegano i tre progettisti, “ne emerge una memoria che si è persa nelle trasformazioni e usi successivi del complesso e che invece può dare identità e nuova dignità agli spazi”.
Ed è proprio da questa intuizione secondo cui la narrazione dell’identità di uno spazio di cura possa contribuire al percorso di cura che nasce l’incontro Umanizzazione dei luoghi di cura. Narrazione e relazioni nel progetto (2 CFP). L’appuntamento si terrà in presenza martedì 26 ottobre al Circolo del Design e sarà l’occasione per discutere