Come si sta adattando l’architettura in risposta all’emergenza sanitaria? Per capirlo, abbiamo deciso di partire da tre punti di vista differenti: quello degli operatori culturali, quello degli imprenditori e, ovviamente, quello dei progettisti. Ecco cosa ne è emerso.
Per capire come l’architettura si stia adattando (o si dovrebbe adattare) in risposta all’emergenza sanitaria, abbiamo deciso di partire da tre punti di vista differenti: quello degli operatori culturali, quello degli imprenditori e, ovviamente, quello dei progettisti. Il risultato è una serie di 14 video-interviste che nel loro insieme ci restituiscono una panoramica a 360° di ciò che sta accadendo.
“Oggi le città si devono focalizzare sull’urgenza di una nuova sostenibilità, accelerata dal Covid-19; per pensarla, gli architetti devono collaborare con tutti i soggetti della comunità al fine di migliorare la qualità della vita e connettere l’architettura con tutte le discipline culturali – l’arte, il cinema, il teatro, la musica, il food – e anche l’imprenditoria, l’industria e la società civile, ponendo al centro la riflessione sulla funzione degli spazi collettivi” spiega Alessandra Siviero, presidente della Fondazione per l’architettura / Torino. Da qui, il nome dell’iniziativa: L’architettura è connessa, promossa all’interno della cornice del Fuorisalone e di cui vi raccontiamo in sintesi le principali questioni emerse.
Se si parla di ripensare la città, la natura deve assumere un ruolo centrale. A pensarla così è Kengo Kuma, uno tra gli architetti più influenti del Sol Levante che poggia la sua filosofia progettuale sull’armonia con il contesto ambientale e culturale. Sempre da oltreconfine arriva anche l’ispirazione per il designer Gianni Arnaudo, il quale immagina antidoti urbani anti-Covid prendendo spunto dal modello Copenaghen basato su relazioni e servizi di vicinato o dall’architettura dello studio francese di Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, mastri nel ricavare spazi aperti nelle abitazioni, anche quando si fanno i conti con metrature ridotte. Per il milanese Cino Zucchi, invece, la parola d’ordine è resilienza, motivo per cui in un momento come questo è importante capire quali sono le condizioni oggettive degli spazi che garantiscono uno stato di benessere, anche al di là dei singoli comportamenti. Anche per Fabrizio Giugiaro l’architettura ha il compito di porsi come strumento per migliorare il futuro, sottolineando l’urgenza di un sistema burocratico più snello per l’Italia.
Spostandoci sul fronte cultura, secondo Patrizia Sandretto Re Rebaudengo le normative sul distanziamento potrebbero far uscire l’arte dagli spazi chiusi, contribuendo così a un contatto più diretto e capillare con il territorio. Per Enzo Ghigo, presidente del Museo del Cinema, le occasioni di dialogo potrebbero riguardare anche le connessioni tra discipline diverse, ad esempio tra cinema e teatro. Resta fermo il fatto che gli spazi espositivi debbano essere ripensati per garantire sì la sicurezza, ma anche la qualità dell’esperienza dal vivo. Ed è qui – come specificano l’economista e docente Paolo Turati e il presidente della Fondazione Teatro Stabile di Torino Lamberto Vallarino Gancia – che l’architettura e il design svolgono un ruolo fondamentale.
Gli spunti non mancano neanche sul fronte dell’imprenditoria, a partire da Oscar Farinetti che definisce il design dell’ambiente uno dei tre pilastri inscindibili dell’attività dell’imprenditore insieme a storytelling e sostanza; per il fondatore di Eataly, infatti, gli architetti dovranno avere la capacità di creare progetti innovativi con poche mosse, dando vita ad ambienti sicuri ma allo stesso tempo gioiosi nel ritorno alla socialità. Per Giuseppe Bergesio, AD di IrenEnergia, l’architettura assume un ruolo chiave nel favorire l’accettabilità sociale degli insediamenti produttivi in contesti urbani, così come dimostrano i casi torinesi della centrale termica del Politecnico di Torino e del futuro Giardino del Calore di San Salvario. Architettura e brand identity vanno di pari passo anche in casa Lavazza; basti pensare al caso della Nuvola, qui raccontato da Giuseppe Lavazza. Tornando alla relazione post-pandemica, come ci ricorda Antonio Cussino di Idrocentro, il fatto che le città e gli edifici vengano riplasmati in seguito a pandemie e catastrofi non è di certo una novità. Così come è accaduto con il colera, la peste o la tubercolosi, anche il Covid-19 richiederà una riprogettazione dei luoghi di vita, magari con un’architettura più modulare e modulabile. Insomma, “da ogni crisi nascono opportunità: bisogna solo saperle cogliere”.