Flessibilità, modularità e sostenibilità sono le qualità alla base della diffusione dei container nella progettazione architettonica. Vi presentiamo l’esperienza dello studio torinese U-Layer nell’ideazione e nella realizzazione degli info-point della Città di Torino e a Castelnuovo Don Bosco.
Nati per il trasporto di merci e inizialmente riutilizzati a livello artistico, i container si sono gradualmente diffusi anche in architettura, in particolare in modo temporaneo, ad esempio a fine abitativo in caso di emergenza o come temporary shop per i grandi marchi. Flessibilità, modularità e sostenibilità sono tra gli elementi chiave che rendono attuale l’utilizzo di questa modalità costruttiva; a queste qualità si aggiunge un secondo aspetto di grande rilevanza: una volta terminato il ciclo di vita, i container spesso vengono abbandonati occupando ampie aree portuali, mentre il loro riuso consente di prolungarne l’utilità. Vi presentiamo l’esperienza dello studio torinese U-Layer di Gian Carlo Tranzatto e Luca Domenichelli che abbiamo invitato in occasione della recente edizione di Paratissima.
Il progetto degli anni ’70 della “casa evolutiva” di Renzo Piano si può considerare precursore dell’approccio moderno nell’uso dei container: un parallelepipedo di calcestruzzo armato, con pareti scorrevoli caratterizzato da flessibilità, facilità di montaggio e basso costo; un edificio che può raddoppiare la superficie abitabile, attraverso la modifica interna dello spazio. L’unico esemplare realizzato fu costruito nel 1978 a Bastia Umbra, in provincia di Perugia, per i malati psichiatrici e poteva passare da 50 a 120 metri quadri a seconda delle necessità. Quando nel 2010 si parlò della sua demolizione, l’architetto diede il suo nulla osta al Comune, affermando di non essere un sostenitore della sacralità dell’opera.
Benché il progetto abbia influenzato molti edifici dell’epoca, tuttavia in Italia, complice la grande tradizione architettonica, non prese piede l’utilizzo del prefabbricato ad uso civile e residenziale, contrariamente a quanto accadde invece nell’industria. Solo di recente l’uso dei container sta iniziando a diffondersi, offrendo risposte diverse ad analoghe necessità.
Il primo step, secondo lo studio U-Layer, è la scelta del container, che prevede l’analisi non solo degli aspetti più tecnici, ma anche della sua storia; bisogna conoscere che cosa ogni unità ha trasportato e per quanto tempo per evitare che possano poi presentarsi controindicazioni successive. La realizzazione, che può avvenire in officina o in loco a seconda dei casi, è piuttosto veloce: per l’info-point di Castelnuovo Don Bosco, costruito in occasione del centenario della nascita di Don Bosco, sono bastati 25 giorni!
In quel caso, la richiesta della committenza era di garantire un utilizzo per tre anni, quindi una soluzione temporanea, ma non troppo. Erano necessari ampi spazi espositivi nei quali fosse possibile esporre i prodotti del territorio, per affiancare alla funzione informativa anche la valorizzazione enogastronomica. Lo studio scelse di accoppiare due container e, eliminando parte della parete divisoria, creare un unico ambiente. Un altro dei vantaggi dell’uso dei container si scopre in fase di allestimento interno: le dimensioni di pannelli e arredi sono quasi sempre sottomultipli di quelle dei container e quindi è facile ottimizzare l’utilizzo dei materiali.
A Castelnuovo Don Bosco si scelse di intervenire poco sull’esterno, limitandosi ad una verniciatura e all’applicazione di una pellicola per customizzare il container e garantire efficacia comunicativa. In altri casi può essere utile o necessario ricoprire le pareti originali con una pelle che permette la coibentazione o la ventilazione controllata. Questa soluzione è stata adottata dallo studio a Torino per la progettazione dei tre info-point collocati in piazza Carlo Felice, in piazza Castello e vicino alla Mole Antonelliana, che sono stati interamente costruiti in officina e assemblati in loco in soli due giorni; un compromesso che ha consentito di utilizzare container in un contesto aulico, anche se accettando di rendere meno esplicito il valore comunicativo del riuso del mezzo di trasporto.
Secondo i due architetti, “i container sono contagiosi: quando inizi a studiarne i risultati non smetti più di usarli!”.